Ha ancora senso parlare di trend?
Da qualche tempo sui social si sta diffondendo l’idea che parlare di trend moda sia qualcosa di anacronistico, un retaggio culturale di inizio anni ottanta e che quindi la parola trend – ampiamente usata e abusata nel settore, va detto- non abbia più senso di esistere.
Nel pieno di una pandemia mi sono spesso interrogata sul senso della parola trend, se sia davvero ancora UTILE utilizzarla e se abbia davvero senso utilizzarla in un mondo in cui le collezioni continuano a susseguirsi a ritmi vertiginosi portando all’attenzione dei consumatori prodotti di ogni sorta e genere in un flusso costante di aggiornamento e apparente rinnovamento.
Sono la prima ad utilizzare la parola trend da più di 13 anni, e nel corso degli anni ho categorizzato e suddiviso le sfilate sulla base di macrotrend e microtrend, quelle piccole mode estemporanee ed esplosive portate alla luce e alla ribalta soprattutto dai social come Instagram (ricordiamo ad esempio il boom delle collane conchiglia di un paio di estati fa? Ecco parlo di quello).
In un universo in continuo movimento, sia digitale che reale, la parola trend trova ancora senso di esistere? In cui l’individualità e l’unicità sono celebrati come una mission e in cui lo stile personale ha dato vita alla più radicale rivoluzione del sistema moda?
Secondo me sì.
I trend per me non sono mai dei diktat da seguire, e infatti non amo la parola must have quando parliamo di abbigliamento; i trend sono un modo semplice, immediato e visivamente coerente per creare un quadro di quello che un consumatore può trovare nei negozi in un certo momento; non sono nient’altro che un modo per semplificare e organizzare le decine di proposte che vediamo ogni stagione.
Inoltre va detto che i trend, prima di diventare tali, subiscono un processo quanto mai lungo e laborioso, e quello che noi arriviamo a definire trend non è altro che la sintesi, e la punta dell’iceberg di una sedimentazione e mix culturale che è stato con il tempo portato all’attenzione della maggior parte delle persone. In questo senso vorrei dire che tutto quello di cui si parla è “trend”, non solo nella moda, tutto quello che diventa argomento di conversazione, o si inserisce nelle agende, anche politiche, è trend: sono temi ma anche trend questioni cruciali come la sostenibilità, il femminismo, alla pari dell’athleisure e delle scarpe con la punta quadrata.
Chi pensa che mettere insieme termini come trend e femminismo sia fuori luogo, o quanto meno inopportuno, secondo me sbaglia; parlandone in termini puramente semantici, avete notato come la parola femminismo sia stata nel corso degli anni connotata negativamente? E come la stessa sorte la stia “subendo” anche la parola “trend”? E cercando di farne un ragionamento più profondo e critico, avrete notato come femminismo e trend siano parole che connotano principalmente la sfera del mondo del femminile?
Credo che i trend saranno ancora cruciali nel mondo della moda post Covid, ma credo che lo saranno in modo diverso; probabilmente in questi mesi di chiusura, molti di noi hanno un po’ fatto a meno dei trend, magari guardandoli o sognandoli ma senza, passatemi il termine, entrare nell’arena. Se alla fine si hanno poche occasioni per uscire che senso ha vestirsi di tutto punto? Ma non è un caso, e mi riallaccio al discorso sopra, che in questa “atarassia da trend” si sia in realtà affermato un nuovo trend, l’athflow. E credo che quando torneremo ad uscire, un po’ come nei dopo guerra, ci sarà di nuovo voglia di sperimentare, vedere, provare, lanciare dei trend.
Ripensando sempre, come ho letto sul New York Times, che anche evitare i trend è un trend (Dodging trends is the trend).
Interessanti da leggere a tal proposito:
NYTimes
PopSugar
Repeller